Le sezioni unite civili della Corte di Cassazione, con la sentenza 19681/19, depositata il 4/6/2019, hanno affrontato il tema del rapporto tra il diritto di cronaca e il diritto all’oblio.
La problematica è certamente “trasversale”, interessando tanto il diritto civile – per l’eventuale profilo risarcitorio di chi si ritiene ingiustamente esposto alla c.d. gogna mediatica – quanto il diritto penale, in quanto la diffusione di notizie non favorevoli ben può integrare il delitto di diffamazione a mezzo stampa.
La sentenza, infatti, “si muove” tra norme costituzionali (artt. 2, 3, 21, 27) e direttive della Comunità Europea, con un ovvio riferimento alla legge sulla stampa (legge 47/1948) e alla deontologia giornalistica, consacrata nei relativi testi normativi.
Essa poi, pur citando in massima parte, come prevedibile, giurisprudenza di legittimità del settore civile, non ignora il contributo delle sezioni penali della Suprema Corte, così come non ignora la giurisprudenza delle Corte di Giustizia dell’Unione europea.
Non è dunque fuori luogo parlarne in questa sede.
Il caso era il seguente.
Un quotidiano locale, nell’ambito di un programma editoriale di “rievocazione” di efferati omicidi del passato, ha ricordato un uxoricidio di 27 anni addietro, riferendo nei dettagli i fatti e indicando con nome e cognome il condannato. Costui aveva medio tempore scontato la pena ed aveva ripreso il suo lavoro di artigiano nella medesima città nella quale aveva commesso il suo delitto.
L’uomo aveva pertanto citato in giudizio il giornale e l’autore dell’articolo, assumendo che era stato violato il suo diritto all’oblio e chiedendo quindi un adeguato risarcimento dei danni mortali e materiali subiti a seguito della “riesumazione” del grave episodio verificatosi tanti anni addietro.
In primo e secondo grado la sua domanda era stata ritenuta infondata.
Le Sezioni Unite Civili della Corte di Cassazione, viceversa, hanno cassato con rinvio la decisione di appello enunciando il seguente principio: “in tema di rapporti tra il diritto alla riservatezza … e il diritto alla rievocazione storica di fatti e vicende concernenti eventi del passato, il giudice di merito … ha il compito di valutare l’interesse pubblico, concreto ed attuale alla menzione degli elementi identificativi delle persone che di quei fatti e di quelle vicende furono protagonisti. Tale menzione deve ritenersi lecita solo nella ipotesi in cui si riferisca a personaggi che destino nel momento presente l’interesse della collettività, sia per ragioni di notorietà, che per il ruolo pubblico rivestito; in caso contrario, prevale il diritto degli interessati alla riservatezza rispetto ad avvenimenti del passato che li feriscano nella dignità e nell’onore e dei quali si sia ormai spenta la memoria collettiva.”
In altre parole, è stato ritenuto che, libera essendo, ex art. 21 Cost., la scelta degli argomenti da trattare (anche se relativi a fatti accaduti decenni prima), il nome – ed, è da ritenere, anche i dati identificativi – dei protagonisti negativi di una grave vicenda del passato dovevano essere taciuti, avendo essi diritto “ad essere dimenticati”, cosa che, oltretutto, appare indispensabile perché prosegua il loro auspicabile percorso di reinserimento sociale.
Unica eccezione a tale principio consiste, per la Corte nella sua massima espressione, nell’eventuale ruolo pubblico che quelle persone ricoprano attualmente (cioè quando l’articolo viene pubblicato), ovvero nella oggettiva notorietà di cui le stesse eventualmente godano.
Viene inoltre precisato che la contrapposizione non deve intendersi tra diritto di cronaca e diritto all’oblio, ma tra quest’ultimo e il diritto di rievocazione storica, atteso che la cronaca è relativa solo agli avvenimenti del presente, mentre, nel caso in esame, si trattava di fatti dei lontani anni ’80.
La decisione appare destinata a suscitare dibattiti, prese di posizione e non indolori contrapposizioni, dal momento che, da un lato, non fa alcun riferimento all’art. 33 Cost. (libertà di arte scienza e, quindi, di ricerca storica), dall’altro, fissa un confine mobile (e labile) tra cronaca e storia (dopo quanti anni la prima si “trasforma” nella seconda?), dall’altro ancora, a parte il caso dell’homo publicus, non chiarisce (né può farlo) quali siano gli altri casi in cui ricorrano le altre “ragioni di notorietà”, in un mondo, quale quello dei media, in cui il privato è divenuto pubblico, in genere per scelta dei medesimi protagonisti, colti dalla sindrome del dilagante esibizionismo, ma altre volte certamente invito domino per l’intrusiva presenza dei mezzi di informazione, sempre più diffusori di gossip.
Sarà ovviamente interessante seguire i futuri sviluppi (e adattamenti), soprattutto in campo penale, di una pronuncia che, per la sua natura riconoscibilmente compromissoria, appare certamente problematica.