La quinta sezione penale della Corte di cassazione ha recentemente (udienza del 18.12.2019) chiarito che il divieto di reformatio in pejus – in sede di nuovo giudizio di appello, dopo annullamento con rinvio da parte della Corte di legittimità – non è violato quando la sentenza di appello, pur pronunziata su impugnazione del solo imputato, abbia comunque ridotto la pena in termini assoluti.
Ciò anche se il ragionamento seguito (e il calcolo elaborato) dal giudice di secondo grado abbia preso le mosse da una pena base superiore a quella indicata dal primo giudicante.
I ricorrenti infatti, imputati del delitto di cui all’art 416 bis c.p., avevano contestato la correttezza del percorso di rideterminazione della pena operata dal giudice del rinvio, che aveva comunque applicato la più favorevole disciplina, anteriore alla entrata in vigore delle più severe sanzioni introdotte dalla legge n. 125 del 2008 (di conversione del decreto legge n. 92 del medesimo anno).
E ciò anche se la “nuova” Corte di appello non aveva preso come punto di riferimento il precedente (e più favorevole) minimo edittale.
In sintesi è stato chiarito (si tratta di una “informazione provvisoria”: la motivazione deve ancora essere depositata) che il terzo comma dell’art 597 del codice di rito penale trova applicazione anche in sede di rinvio e anche in presenza di successione nel tempo di norme penali, ma ciò che rileva è il risultato finale, non i passaggi intermedi, attraverso i quali esso viene raggiunto.
Insomma tra le “limitazioni stabilite dalla legge” di cui parla il secondo comma dell’art. 627 cod.proc.pen. a proposito del giudizio di rinvio, non può essere annoverato lo schema di calcolo utilizzato dal giudice di primo grado, a condizione che il risultato finale sia comunque più favorevole all’imputato (unico) impugnante.
La decisione ricalca alcuni precedenti, pronunziati, in genere, in tema di traffico di stupefacenti ed in occasione del più favorevole trattamento sanzionatorio introdotto dalla legge n.79 del 2014 (di conversione del decreto legge n. 36 dello stesso anno), applicato, appunto, in sede di giudizio di rinvio (tra questi è citata la sentenza n.13223 del 2015, rv 266767).