Reato sempre aggravato se si adotta lo “stile mafioso”.
La Corte di cassazione (sez.5), con la sentenza n. 6764, depositata il 20.2.2020 (udienza 13.11.2019), ha rigettato il ricorso proposto nell’interesse di un soggetto condannato nei gradi di merito perché riconosciuto colpevole di aver aggredito un giornalista, colpendolo con una testata al volto e quindi con un manganello, nel corso di una intervista che pure, in un primo momento, si era detto disposto a rilasciare.
Contemporaneamente, altro soggetto aveva colpito con pugni e calci l’operatore televisivo che accompagnava il giornalista.
La ricostruzione dell’episodio – verificatosi ad Ostia nel 2017 – non è stata mai messa in discussione dagli imputati, anche perché “la scena” risulta essere stata “ripresa” dalle telecamere (e, di fatto, ha avuto ampia diffusione sui media).
Il ricorso avverso la sentenza di appello, sostanzialmente, si articolava su due censure:
- con la prima, si è sostenuto che il delitto di violenza privata doveva ritenersi assorbito in quello di lesioni gravi, dal momento che l’azione era stata unica e le due vittime si erano allontanate dal locus delicti, appunto, solo per diretta conseguenza delle lesioni subìte, perché ferite e sanguinanti;
- con la seconda, si è affermato che non poteva ritenersi sussistente la aggravante di cui all’art. 7 del DL 152 del 1991, (convertito nella legge 203 del 1991, oggi trasfuso nell’art. 416 bis – 1, introdotto dalla legge 21 del 2018) perché non risultava provata l’esistenza di alcuna struttura mafiosa in territorio di Ostia. Né è stata, ad oggi, definitivamente dimostrata la appartenenza del ricorrente ad una associazione riconducibile allo schema dell’art. 416 bis c.p.
I giudici di legittimità hanno ritenuto infondate entrambe le argomentazioni.
Quanto alla prima, rilevato che il solo delitto di percosse – e non anche quello di lesioni – risulta assorbito in quello di violenza privata (cfr art. 581 comma 2 c.p.), hanno sottolineato come siano differenti i beni giuridici che le due norme incriminatrici intendono tutelare:
- la libertà morale, nel caso della violenza privata
- la integrità fisica, nel caso delle lesioni
Di talché, se i due beni vengono aggrediti con un’unica condotta, si avrà concorso formale; se, con due condotte (sia pure tanto ravvicinate da apparire quasi contestuali), si avrà reato continuato.
D’altra parte, è appena il caso di notare che la violenza privata può ben essere portata ad esecuzione senza provocare lesioni personali alla vittima; conseguentemente, se lesioni vengono cagionate, non può esservi dubbio che si è in presenza di due reati perché certamente non può farsi luogo al principio di specialità.
La parte più significativa della sentenza riguarda la aggravante ex art 7.
Precisato che quella contestata era, tra le due, la aggravante di natura oggettiva – aver adoperato il metodo mafioso – e non quella soggettiva (avere agito per favorire un’associazione mafiosa: cfr. Sez. unite, sentenza 8445, depositata 3.3.2020, udienza 19.12.2019), la quinta Sezione ha affermato che, anche se non risulta provata in loco la presenza di una associazione ex art. 416 bis, ciò che rileva è la sussistenza di un modus operandi che si rifaccia allo “stile mafioso”, che ne adotti modalità di comportamento e ne evochi in qualche modo il background “culturale”, in quanto l’aggravante, nella sua modalità oggettiva, prevede che l’agente si avvalga delle condizioni previste dall’art. 416 bis c.p.
E tali condizioni i giudici di merito – con motivazione che la Cassazione ha ritenuto ineccepibile – individuarono nella presenza di un “guardaspalle”, nell’azione di aggressione coordinata di quest’ultimo e del ricorrente, nelle esplicita ingiunzione di non farsi più vedere ad Ostia, pena gravissime conseguenze, nel comportamento degli astanti, nessuno dei quali venuto in soccorso delle vittime ed anzi mostratisi solidali con gli aggressori.
Dunque: sostegno ed aiuto all’aggressore, propositi di vendetta per il futuro, connivenza degli astanti.
La violenza fisica e morale risulta amplificata dalla minaccia di ulteriori ritorsioni, corroborata dalla rivendicazione del controllo del territorio, suggellata dalla solidarietà criminale dei presenti, espressiva di una diffusa “omertà ambientale” – “stile mafioso”.
La sussistenza della aggravante in questione, pertanto, è stata dedotta da un quadro sintomatico, ritenuto complessivamente sufficiente ed univoco e tale da smentire la tesi “riduzionista” della Difesa.